Pace per i tramonti che verranno,
pace per il ponte, pace per il vino,
[…] Non voglio che il sangue torni
a bagnare il pane, i fagioli,
la musica: voglio che venga con me
il minatore, la fanciulla,
l’avvocato, il marinaio,
il fabbricante di bambole;
[…] Io non vengo a risolvere nulla.
Io son venuto qui per cantare
e per sentirti cantare con me.
(Pablo Neruda, da Canto generale)
Parlano ancora di un nuovo inizio. Questo mi inquieta. Non capisco se lo dicono per consolarci o se, nel loro criptico linguaggio, hanno già formulato cosa ne sarà della nostra vita, delle nostre città, dei nostri precari guadagni e persino dei nostri sogni.
Al di là di ogni retorica su questo tempo, oso la pace, così come l’ho già osata tante volte nel corso della mia vita, anche in situazioni più difficili e meno libere di questa. A sostenermi vengono le parole del poeta cileno. Oso la pace per questo paese, per tutti i popoli, per l’ecosistema, per ogni donna e ogni uomo.
È triste notare che, fin dai primi giorni di questa pandemia, molti hanno usato solo linguaggi di guerra. Il virus è il nemico; si deve combattere; si combatte stando a casa. Bisogna essere accorti nei confronti di chi si avvicina e bisogna cambiare abitudini. E ancora: vincere la battaglia; esaltare gli eroi e sottostare a puntuali bollettini informativi giornalieri. I medici e tutto il loro staff, secondo questo linguaggio, stanno in “prima linea”. Insomma, un vero e proprio linguaggio di guerra e forse anche il modo di vestirsi per coloro che appunto erano e sono in prima linea, assomiglia a una divisa usata dai militari nelle missioni speciali in guerra, molto simile a quella di Star Wars.
Sembra che ogni evento sconosciuto così come ogni persona a noi poco nota, susciti nel nostro immaginario un linguaggio belligerante. Come se comprendessimo solo questo e niente altro.
Proviamo a ribaltare questa situazione: la vita si protegge con gesti di cura. La società si costruisce e si sostiene con leggi giuste e vere. La crescita di un Paese dipende dalla crescita dei singoli individui e dalla possibilità che hanno di incontrarsi per progettarla insieme. La vita di un Paese dipende anche dalla memoria viva del passato, dalle sue radici; da un processo di studio sapiente, non settoriale ma esteso, per conoscere prima i segreti interstizi dell’umano e poi le leggi economiche. E inoltre: significa educarci alla poesia, all’arte, alla musica, all’agricoltura e alla conoscenza del proprio territorio e del suo ecosistema.
Chissà che tutto ciò ed altro ancora non sia linguaggio alternativo per sottrarci e sottrarre il mondo caduto nelle mani dell’intellighenzia del mondo scientifico e tecnologico. Allora dobbiamo osare altro e osarlo insieme. Io oso la pace, ma non in modo idilliaco, fuori dal reale. Oso quella pace fatta di dolorosi parti esistenziali; fatta di scelte individuali e collettive, di obbedienze e disobbedienze consapevoli. Oso la pace, perché solo la pace permette all’universo di muoversi ancora, nella sua solenne armonia.
Crediti fotografici:TheOtherKev da Pixabay