In questi giorni di isolamento collettivo, sembra che si sia risvegliato il desiderio di comunicare seppur a distanza e dunque virtualmente; siamo sommersi da messaggi, notizie, istruzioni, ipotesi, ecc.
Uno dei testi che mi fa compagnia nella mia odierna quotidianità è il Convivio di Dante. Per questo oggi lo ospito nella mia breve riflessione. Queste sagge parole generano in me profonda autocritica ma non solo.
Critica a me stessa, ma anche critica alla teologia, alla chiesa, alla politica e ad ogni legge e ragionamento condivisi. Come sappiamo, nella prima parte del Convivio, Dante -che pur riconosce la ricchezza e bellezza del latino- giustifica la sua elezione della lingua volgare. Ed è proprio questo passaggio che mi sembra particolarmente bello. Le sue motivazioni sono chiare: dare a molti; dare utili cose e senza che qualcuno le domandi. La lingua volgare serviva a questo, ma ogni parola e ogni gesto dovrebbero svelare il senso profondo del nostro rivolgersi ad altri.
Nel mondo che dovremo imparare a ricostruire, anche queste parole di Dante diventano preziose. Parole che ci serviranno a vivificare le relazioni umane, ma anche quelle con altri esseri viventi e con la terra che ospita tutti. Parole che dovremo ripensare per rifare le nostre istituzioni politiche e religiose, la nostra economia e geografia mondiale.
La sollecitudine per il bene, non solo per pochi ma per tutti, è ciò che rende simili all’ universalissimo benefattore, come lo chiama Dante. Per ora mi fermo qui e continuo in silenzio la mia autocritica.
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